#334675 Regione Puglia

Gallipoli: il mare, la costa. La primo corologia della sua costa. Escursione.

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PublisherSocietà di Storia Patria per la Puglia.
Date of publ.
Details cm.17x24, pp.255 numerose figure a colori nel testo, brossura con copertina figurata a colori. Collana Storia e Tradizione " L'uomo e il mare".
AbstractNota di lettura del Prof. Giancarlo Vallone - Chi di noi può elencare i privilegi della bellezza? Così chiedeva il poeta. Ora Franco Mosco tenta di farlo per la sua Gallipoli, che per lui, e per noi, è Gallipoli “la bella”, “la bianca”, “la luminosa”. Questa volta, però, per Mosco, la bellezza non è quella del patrimonio artistico della città, e non ha il tratto morale della sua tradizione associazionistica, già ripetutamente indagati. Ora è la natura che anima la passione di Mosco: Gallipoli nella sua posizione terrena e quindi, evidentemente, il mare. Terra e mare non si affrontano, in questo volume, nella loro sintesi umana, che ha conosciuto anche gli assedi, le cadute, la paura, e la morte che viene dal mare. Terra e mare sono qui unità nella quale la stessa città si dissolve come se ci fosse sempre stata dall’inizio dei tempi, e in fondo è quasi così se pensiamo alla vicenda della preistorica Anxa, che Cremonesi ci ha rivelato decenni fa. Terra e mare sono estremi che qui, a Gallipoli, si toccano unendosi, ed è questo che ora interessa Mosco; l’oggetto del suo studio è la ‘costa’ di Gallipoli, il suo litorale. Si tratta di una costa che egli intende in senso corografico, e non certo negli angusti limiti della sua confinazione giuridica, dato che la descrizione include luoghi ad esempio a nord della città, come la Montagna Spaccata e la spiaggia delle Conchiglie, che non fanno parte, oggi, del distretto amministrativo di Gallipoli, ma che, evidentemente, sono nella costituzione territoriale della sua costa. Per descrivere gli oltre trenta chilometri di lunghezza di questa doppia baia – i Due Mari – divisi dalla città che penetra in mare come vertice a congiunzione dei due archi, o, dice l’autore, come testa di un gabbiano ad ali spiegate nel volo, Mosco impegna un genere letterario poco frequentato nelle ricognizioni costiere, ma di illustre tradizione nelle escursioni montane, ed in particolare alpine, le Promenades. Ci offre una ‘passeggiata’, così la definisce più volte, lungo la costa a nord e a sud della città e, per così dire, nella città stessa. Il suo però non è l’interesse del geografo in senso stretto, ma piuttosto, del viaggiatore e del ricercatore che dei luoghi visitati indaga “le varie denominazioni...che faranno risalire alla loro natura, alla loro origine”; ne indaga insomma la storia, né solo quella onomastica o etimologica. Siamo insomma di fronte anche ad un libro di storia, ma si tratta di una storia diversa e particolare, per nulla o per poco antropocentrica; una storia invece fortemente condizionata dalla geografia e, come sempre in Mosco, riccamente corredata di iconografia, anche inedita o rara, come dipinti tratti da collezioni private, o fotografie quasi sconosciute degli inizi del Novecento. Qualcosa come La montagne à travers les âges della letteratura alpina. Ho anni sufficienti per cogliere il tratto evocativo di queste scritture di Mosco, e cioè la capacità loro di suscitare partecipazione; e questo nasce dal tipo di letteratura impiegata, la passeggiata, il percorso, o il viaggio, che già di per sé inclina a produrre ripetizioni, ricordi, collegamenti, aggiunte. Così rammento di antichi villeggianti, nella vicina e bellissima Santa Maria, che narravano di escursioni, loro bambini, tra le due guerre, lungo viottoli sterrati tra gli scogli, fino a a valicare la Montagna, ancora integra (sarà ‘spaccata’ negli anni Trenta), per bagnarsi nell’acqua tersa delle Conchiglie, allora guardata da una sola villa di un notabile di Sannicola. Ed anche per questo luogo mitico, la Montagna Spaccata, si narrava di donne misteriose improvvisamente apparse a sbarrare la via alle corriere in transito notturno, come se il monte rimpiangesse la sua perduta unità, così come a Torre Sabea, più a sud, Mosco ci narra del timore, al tramonto, di fantasmi; e tra la Montagna e la Torre, s’intravede, muta, la chiesetta basiliana di San Mauro, sfregiata nei suoi pochi affreschi sopravvissuti a barbare e recenti asportazioni, e posta ai margini dell’antichissima via da Nardò a Gallipoli, nel Medioevo luogo reale di agguati e di briganti. Più sul mare, la punta di Rivabella oggi purtroppo interamente edificata, era un tempo frequentata solo da allevatori e mercanti di cavalli, per le polle d’acqua dolce dove gli animali s’abbeveravano liberamente. Percorsi, forse meno noti, almeno per quanti conoscono da sempre la baia a nord, ci vengono proposti per la baia a sud, diciamo dalla Torre San Giovanni fino ‘al Cotriero’ (la Punta Cutrieri), ma al centro di queste due baie c’è la città, ed è forse qui, nella descrizione di Gallipoli, che il lavoro di Mosco diventa più vivo e articolato, ed anche più ‘storico’. Quel che qui interessa Mosco è quanto di Gallipoli sporge sul mare, è l’interazione tra terra e mare, tra uomini e cose per la vita sul mare e dal mare. I cantieri navali, anzitutto, ed anche qui Mosco si mostra eccezionale conoscitore d’un antico mestiere: il costruttore d’imbarcazioni con i suoi infiniti attrezzi; quindi le darsene e, naturalmente il porto, con la sua illustre storia di commercio, fiorente fino al declinare dell’Ottocento. Alle spalle, la città, ma quel che della città è per il mare e che Mosco vede dal mare. Perciò la stessa piattaforma di scoglio su cui la città vecchia si erge, come nell’antica descrizione del Galateo, e la cinta muraria, abbassata, evidentemente, rispetto alla sua genesi, ma sopravvissuta per la stessa conformazione insulare del sito. Colpisce il lettore l’individuazione di antichi metodi per difendere le costruzioni dalla risalita dell’acqua incombente, come i grossi tronchi di pino conficcati in profondità nel terreno, prima delle mura. Tratto dopo tratto, il lettore riscopre i tanti punti notevoli, i fortini, le torri, i baluardi, gli scogli, i porticcioli, gli scali, gli isolotti che, visti dal mare, evocano una storia diversa della città, che riguarda non soltanto i mestieri del mare: gli artieri di barca, i pescatori, i palombari, ma anche la gioia del mare: gli stabilimenti di città, i bagnanti ricchi e poveri, gli sport marittimi, e la vela in particolare, il turismo dalle origini alle sue recenti esplosioni. Ogni angolo, ogni posizione congiunge storia e memoria, conoscenza temperata dalla necessità di proseguire il percorso, che però si offre a traccia suscitativa di suggestioni e, forse, di racconti. Senza terra, ma tutta sul mare, era poi la famosa ‘tonnara’, fonte fino al disarmo (1973) di ricchezza ma anche di contenzioso con Nardò e le sue marine, e che Mosco descrive con estrema attenzione alle sue tecniche di pesca, e con rara competenza, in pagine che sono forse le più animate del volume. Quindi, in specie oltre la città, gli stabilimenti balneari ed in particolare il Lido San Giovanni, celebre fino agli anni Ottanta e gli altri, fino alla la Punta Cutrieri, che chiude la baia del sud. Qui finisce anche il libro che, come avviene, ha lasciato però l’orma per ritornare.
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